A PROPOSITO DI IPOCONDRIA

 

(CHOIX DES SYMPTHOMES DANS LES NEVROSES)

Questo termine esprime un tipo di disturbo che vede il soggetto eccessivamente focalizzato sul proprio sè corporeo sotto forma di pensieri, preoccupazioni in relazione alla propria salute fisica. I disturbi avvertiti sono sempre rappresentati da un’idea che si possa trattare di qualcosa di grave. A differenza della paura di poter avere una malattia (patofobia) che è legata ad un’ideazione ansiosa anticipatoria, l’ipocondriaco parte sempre da un disturbo fisico che avverte preoccupandosene: su quel disturbo cioè egli comincia ad elaborare le proprie idee / preoccupazioni ipocondriache. La natura di questo sintomo può essere esclusivamente fisica (una cefalea, un dolore articolare) oppure il sintomo può essere un’espressione dell’ansia somatizzata (tachicardia ansiosa) che evidentemente si esprime sempre a livello fisico. A questo punto, partendo dal disturbo fisico, il soggetto incomincia ad elaborare l’idea che si possa trattare di qualcosa di grave, di gravissimo, di seriamente compromettente l’integrità fisica. Partendo da questa elaborazione negativa si crea automaticamente un circolo vizioso:

si avverte un sintomo --> si formula una idea negativa di tipo catastrofico --> aumenta l’ansia --> aumentano i sintomi -->si amplificano i pensieri di essere malati --> ulteriore aumento dell’ansia --> insorgenza di altri disturbi o sintomi fisici --> si rinforza l’idea negativa etc…

Quindi più aumenta l’elaborazione negativa del sintomo avvertito, più aumenta l’ansia e così la somatizzazione, finendo di ulteriormente convincersi di trovarsi di fronte a qualcosa di grave. Nell’ipocondria quindi troviamo la componente emotiva (ansia), la sintomatologia (somatizzazione) e la cognizione (ideazione catastrofica). Il soggetto, trovandosi in questa condizione sfavorevole, cerca attraverso tentativi di soluzioni reiterate e maldestre di risolvere la personale sofferenza mediante: 1) cercare la rassicurazione di parenti, dagli amici, medici; 2) postulare un’autodiagnosi attraverso ricerche su internet, riviste scientifiche popolari; 3) richiesta di aiuto e sottoporsi ad indagini cliniche costose e anche bizzarre fino a sfociare nell’ambito magico – esoterico – mistico. In questo stato di confusione e di dubbi l’ipocondriaco va alla ricerca di continue rassicurazioni. Allora egli si reca spesso dal medico di famiglia o internista  (e non dallo psichiatra) poiché interpreta e percepisce il proprio disturbo nella componente prettamente fisica. Il paradosso di tutto ciò è quello di rinforzare ulteriormente la percezione negativa e fisica del disturbo. Infatti, il medico non psichiatra, spesso poco predisposto e sensibile ad affrontare e a trattare questo tipo di disagio, si limita a sentenziare: “non hai nulla di patologico”! Ecco che allora inizia il pellegrinaggio da un medico ad un altro poiché il paziente deluso dal non ricevere le sufficienti spiegazioni e rassicurazioni migra verso lidi a lui ignoti. C’è di più! Spesso, lo stesso medico, ingenuamente, incrementa il dubbio del paziente quando postula un doppio messaggio ambivalente: da un lato lo rassicura che egli non ha nessuna patologia, dall’altro invece prescrive ulteriori accertamenti clinici, magari costosi ed indaginosi, rinforzando così ulteriormente l’elaborazione e i dubbi negativi del sintomo. Ci si chiede allora: perché gli ipocondriaci ad una esposizione alle malattie uguale ai soggetti sani tendono invece ad elaborare questi sintomi in maniera così negativa? Probabilmente la questione è legata alla mancata fortificazione dei meccanismi di difesa rispetto al concetto di morte oppure alla cattiva elaborazione della sofferenza fisica. In pratica la costruzione e fortificazione delle difese dell’Io durante le tappe dello sviluppo psicologiche risultano sguarnite In relazione a determinati momenti della vita. Esso può essere anche alimentato da un contesto comunicativo familiare basato sull’apprensione delle malattie come qualcosa di terribile, grave, ineluttabile: “Se sudi ti verrà la polmonite”; “se corri ti romperai la gamba”…. Una persona compensata invece riesce a riflettere e ad affrontare o superare il disturbo. L’evento quindi viene temuto di meno in quanto egli presenta un adeguato sistema di difesa psichica. Laddove invece la persona ne fosse sprovvista egli comincia a concepire dentro di sé l’idea di qualcosa di grave con conseguente ansia che si correla a questo tipo di elaborazione negativa psichica. Da qui parte un ulteriore aggravamento clinico che si esprime sul versante emozionale improntato alla tristezza, alla melanconia, alla configurazione di un disturbo depressivo. I disturbi dell’ipocondriaco si possono poi allargare su altri versanti: inappetenza, insonnia, disfunzioni sessuali, idee ossessive e compromissione del rapporto con gli altri. Questo disturbo quindi porta sempre alla compromissione globale delle altre funzioni psichiche poiché la nostra vita psichica è un tutt’uno e non si può avere un disturbo isolato da tutte le altre attività dell’essere umano. L’ipocondria può tipizzarsi in vari sottotipi: da quella nevrotica, cioè in quei disturbi di minore entità, a quelle depressive fino a manifestazioni cliniche gravissime deliranti. In quest’ultima (delirio ipocondriaco) la convinzione di essere affetto da un brutto male è assoluta, certa, inequivocabile, indiscutibile anche di fronte alle evidenze diagnostiche negative. Tale condizione non la troviamo nel nevrotico ipocondriaco che risente in un certo qual modo di alcune rassicurazioni mediche. Nel delirio ci troviamo invece ad una convinzione talmente radicata nelle sue certezze che nessun tipo di logica, di ragionamento, di evidenza e rassicurazione riesce a modificare. Il delirante allora non cerca più una rassicurazione medica, ma sfida la scienza per “scoprire” quella malattia che pensa e percepisce di avere quando invece nessuno la vede. Il nevrotico ipocondriaco invece non può divenire delirante ipocondriaco, si tratta di due realtà diverse. Il soggetto che ha una struttura di personalità nevrotica resta tale. La terapia può avvalersi di ansiolitici per sedare l’ansia ed incidere sulla somatizzazione dell’ansia stessa che crea il disturbo. Si possono usare altresì degli antidepressivi per migliorare il tono dell’umore quando la vita del soggetto si tinge di depressione. Possiamo anche usare neurolettici / antipsicotici sulle forme a carattere francamente deliranti. Nelle forme di nevrosi ci possiamo immaginare che alla base dell’ipocondria vi sia una eccessiva polarizzazione del soggetto verso il proprio SE corporeo e pertanto il farmaco non può modificare tale presupposto psicopatologico. E’ chiaro quindi che per aiutare a modificare questa struttura di ragionamento di matrice ossessiva e per andare a rinforzare le difese psicologiche dell’Io di fronte a questi timori, ci dobbiamo immaginare che sia fondamentale l’esercizio della psicoterapia. Si dovrebbe insegnare al paziente di ristrutturare gli schemi cognitivi disfunzionali, di riconoscere nella storia personale come ha sviluppato dentro di sé queste tendenze attraverso la rivisitazione della costruzione dei legami affettivi e comunicativi con le figure di attaccamento e, contemporaneamente, rinforzare le personali difese dell’Io di fronte ad un’eventualità plausibile di questo genere a cui siamo tutti normalmente esposti.

Prof. Gennaro Iorio                                                                                                                                                          Dr. Riccardo Pulzoni