Il medico nella prospettiva olistica e integrata tra scienza e amore
Ogni essere malato porta con se non solo l’impronta, le caratteristiche anatomo – cliniche del suo organo, apparato o sistema che sia, affetto da una certa malattia, ma anche il VISSUTO di malattia e lo porge al suo medico per ricevere dei chiarimenti e delle risposte terapeutiche riferibili sia sul piano fisico quanto su quello psicologico. Spesso quest’ultima richiesta resta disattesa dal sanitario, generando un sentimento di frustrazione o di reazioni psicopatologiche che possono a loro volta ripercuotersi negativamente sulla componente fisica. Il medico che sottovaluta quella indissolubilità mente – corpo trascura sia una parte della terapia quanto quella della speranza che è in ognuno di noi. Ogni medico svolge quindi una funzione psicoterapeutica attraverso il fondamentale rapporto che si stabilisce fra medico e paziente. Il medico non può allora isolare l’organo malato dalla persona.
Ai nostri giorni si assiste ancora alla mortificazione dell’identità della persona malata definendola con un numero di letto o con l’organo malato: “Stamane devo operare un fegato o un colon; oppure devo fare la TAC al 16”. Ciò traduce un pensiero, una ideologia mal – educata che esprime una concezione specialistica di organo o numerica spogliata di umanità e di rispetto a cui ogni medico dovrebbe ispirarsi. Uno di noi (R.P.) ricorda con affetto e tristezza Silvano, suo suocero, persona buona d’animo e sensibile, grande lavoratore e artista del restauro di mobili antichi (mi ricorda la figura di Geppetto del libro Cuore di Collodi). Ebbene, gli diagnosticarono tre tipi di neoplasie differenti con una prognosi di vita di soli tre mesi. Di fronte a tale realtà, un medico cinico e piuttosto sgarbato ma focalizzato a ricoverare un suo paziente privato, senza guardarlo negli occhi e senza compassione verso Silvano, ordinò allo staff sanitario di dimetterlo con la gelida sentenza: “tanto tra tre mesi muore”. Si può immaginare quale fu la reazione di angoscia, di sgomento del degente. Silvano invece riuscì a sopravvivere circa un anno e mezzo in più grazie alle cure alternative naturali, alla dieta mirata, alla meditazione e all’amore dei suoi cari.
“La sua vita è stata solo tolta ma non dimenticata”
Anche quel medico morì tempo dopo per un infarto cardiaco fulminante. Porto comunque dispiacere anche per lui e per i suoi cari, privati anche loro del legame affettivo. Di fronte alla morte o alla malattia la vanità, l’arroganza si livella verso il medesimo destino.
Il primo psicoterapeuta è il medico che deve portare nella propria formazione l’immagine globale dell’assistenza al malato sia umana quanto scientifica.
Le problematiche psicologiche che un paziente porta con sé sono svariate e si possono così sintetizzare:
1) Il paziente è malato ma non sa di esserlo;
2) E’ malato e sa di esserlo;
3) Altre volte lo è, sa di essere malato ma non ne conosce il grado di gravità;
4) Altre volte pensa di essere malato ma non lo è (ipocondria)
5) Altre volte è malato ma nega di esserlo (delirio di negazione in paziente psicotico).
Ognuna di queste situazioni richiede una risposta precisa dal medico ma anche di capacità di saggezza, di sdrammatizzazione e di somministrazione di fiducia e di speranza.
Gli sviluppi tecnologici avanzano, le specializzazioni nelle specializzazioni aumentano; ma non ci si rende conto che con il passar del tempo si corre il rischio di frantumare sempre più quella integrità non solo fisico – biologica ma soprattutto quella psicologica sulla base delle quali funziona tutta la dinamica dell’essere umano.
Temo che l’introduzione dei cosidetti protocolli terapeutici, persino in Psichiatria, rappresentano la vera mortificazione di quella che una volta era decantata come ARTE MEDICA, quel sublime affinamento tra nozioni scientifiche, esperienza, intuito clinico e umanità inserite nella relazione terapeutica.
Anche nel campo psichiatrico, la predominanza degli aspetti biologici sembra ridurre l’importanza della relazione terapeutica. Errore gravissimo che testimonia la negazione dei bisogni dell’altro, di colui che soffre.
Eppure i principali insegnamenti ci vengono proprio dalla matrice biologica dell’essere umano. Disconoscerlo è un controsenso: è negare proprio la realtà scientifica (1).
Aumentando così la distanza dall’altro si favorisce la limitazione dei rapporti, di aprire una sorta di mortificazione dell’Io, di schiudere le porte verso un vissuto depressivo!
IL VISSUTO DI INGUARIBILITA’
Il pensiero dell’inguaribilità spegne ogni speranza, rimpicciolisce la sfera dei sentimenti, paralizza la partecipazione alla vita e agli interessi.
L’attaccamento alla terapia diventa il principale filo di speranza, intorno al quale il paziente fa girare l’unico scopo della sua vita, mentre scompaiono tutti gli altri. Spesso questo vissuto del paziente non viene preso in considerazione dal sanitario, impegnato invece esclusivamente alla malattia ed alla probabilità statistica di evoluzione fatale. Troppo spesso ci si dimentica che al di là del corpo malato, c’è un essere umano che invoca speranza di vivere o di alleviare la sofferenza. Il tempo che ci resta in vita (e questo vale per ognuno di noi) non è solo proiezione sul futuro, ma anche di vissuto nel presente.
L’IDEA DELLA MORTE
L’angoscia della morte, di un’esistenza che finisce, di un universo attorno a noi che scompare, cioè l’idea della dissoluzione nel nulla, quella del non – esserci più storico, costituisce la più grande sofferenza esistenziale. La religione da un lato, la filosofia dall’altro, l’alienazione più totale ai piaceri e nelle ricompense, talvolta attraverso l’uso di sostanze stupefacenti, hanno sempre cercato di tamponare questo vissuto di disperazione creando delle ragioni di vita o proiettando il concetto di vita oltre la morte o producendo emozioni, che oscurano quell’angoscia.
La consapevolezza di una grave malattia, anche se non espressamente dichiarata incurabile, genera una richiesta anche indiretta al suo terapeuta di protezione, rassicurazione, se non di guarigione. E allora quella del medico diventa una figura anche magica a volte, l’unica in grado di alleviare la sofferenza globale, di estirpare il male, ridando la speranza di vivere. Ogni medico dovrebbe sentirsi investito da queste aspettative da parte del paziente, che è tale, in quanto unità psico – fisica di sofferenza, di dolore e di speranza.
RUOLO DEL MEDICO
Ogni medico svolge, seppure inconsapevolmente, una funzione psicoterapeutica nella relazione con il paziente. Questo concetto dovrebbe far parte integrante della formazione del medico al quale non dovrebbero mancare conoscenze anche di tipo psicologiche, psicopatologiche e psicoterapeutiche. Avere nella propria formazione il concetto di indissolubilità mente – corpo, significa assumere anche nel proprio atto terapeutico un atteggiamento di rispetto dei bisogni e richieste di colui che soffre per non prestare soltanto un intervento di superficie.
Prof Gennaro Iorio Dr. Riccardo Pulzoni
(1) NOTA
Da un punto di vista anatomo – funzionale, le strutture nervose che costituiscono il substrato dell’elaborazione della nostra attività di pensiero e di quella istintivo – affettiva (la corteccia cerebrale, quella frontale in particolare, ed il circuito limbico), oltre ad essere intercomunicanti attraverso vie nervose centripede e centrifughe, sono, a loro volta connesse, tramite la sostanza reticolare di collegamento, con le cellule di origine del sistema nervoso simpatico e parasimpatico, quel sistema nervoso neurovegetativo, cioè, che regola l’attività di numerosi organi de apparati. Ciò spiega perché l’attività della nostra vita psichica coinvolge il nostro corpo, diventando parte in causa in tutti quei disturbi, noti sotto il nome di disturbi psicosomatici. Ma in un’ottica più generale possiamo senza ombra di dubbio affermare che tante malattie, molto più di quelle che noi immaginiamo, si manifestano come malattie psicosomatiche. Basti ricordare l’influenza, scientificamente dimostrata, dei fattori psichici sul sistema immunitario, per aggiungere un altro elemento alla concezione olistica.
L’apparato immunitario è un complesso sistema dell’organismo, la cui funzione principale e quella di captare e di riconoscere le sostanze estranee, per inattivarle, preservando, così, l’integrità psico – fisica dell’organismo; più in generale, regola le risposte dell’organismo agli stimoli ambientali, per garantire al corpo una difesa da eventi potenzialmente dannosi. La sua attività è possibile, grazie ai globuli bianchi che producono anticorpi. La stimolazione del sistema immunitario non è legata solo all’estraneità dell’antigene, ma anche alla capacità dell’apparato stesso di riconoscere, in base alle informazioni codificate nel suo genoma, la potenziale pericolosità di un determinato microbo. Il sistema immunitario ha, inoltre, la capacità di memorizzare determinate informazioni e di diventare immune ad agenti precedentemente incontrati. Oltre alle reazioni agli stimoli antigenici, il sistema immunitario è in grado di attivarsi con inputs psiconeurologici ed emozionali, attraverso sostanze secrete da neuroni, chiamate neurotrasmettitori e neuropeptiti, oltre che da stimoli endocrini, ovvero da ormoni secreti dall’ipotalamo o dall’ipofisi: adrenalina, noradrenalina ed acetilcolina. Il sistema immunitario e il sistema nervoso centrale sono strettamente interconnessi attrraverso i neuropeptidi che veicolano le informazioni raccolte alla periferia del corpo. I neuropeptidi sono molecole che vengono intercettati e rilasciate da cellule nervose, endocrine e immunitarie. Tutte queste connessioni costituiscono l’oggetto di studio della psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI), una disciplina che si occupa delle relazioni tra psiche e sistemi di regolazione fisiologica: psichico, endocrino, nervoso e immunitario. La medicina convenzionale ha iniziato a studiare tali relazioni solo a partire dagli anni ’30, in seguito agli studi del medico austriaco Hans Selye sullo stress. All’inizio di una condizione di stress si ha liberazione di adrenalina e cortisolo, che potenziano l’azione immunitaria. Con l’aumento dello stress o in condizioni di una situazione stressante cronica, di dolore, di rabbia, di depressione, di sconforto o di ansia le stesse invece diminuiscono o sopprimono la risposta immunitaria, favorendo persino lo sviluppo di auto anticorpi (malattie autoimmuni).