CHE FIGURACCIA!

“HO L’ANSIA DA PRESTAZIONE SESSUALE, MEGLIO LA CASTITA’ ”
(Ovvero quando la bandiera orgogliosa italica non è proprio issata al settimo cielo)

 

Capita che qualche paziente disperato e pieno di vergogna mi confidi che non è riuscito ad avere un’erezione con la bella ragazza.
Dopo quella volta, ogni rapporto sessuale viene vissuto all’insegna della paura del fallimento determinando in lui una serie di reazioni psico – neurovegetative che contribuiscono a loro volta a provocare ulteriori fallimenti, innescando la seguente reazione a catena:
Fallimento ---------> mettersi di nuovo alla prova --------> Fallimenti
Fallimento  --------->                     evitamento     ------> Fallimento
A questo punto abbiamo due possibilità:
1)    Il paziente si mette alla prova cambiando in continuazione partner e “infilandosi” in disperati fallimenti, convincendosi quindi di essere impotente o altro. Per verificare poi se ciò è vero si avvicina a qualche “professionista” che secondo le sue aspettative, dovrebbero essere tecnicamente più abili. Quest’ultime, invece di rivelarsi terapeute o musiciste d’organo, lo invitano a sbrigarsi in fretta (il tempo è denaro), alla “fuga di J.S. Bach”, con conseguente flop del cliente (sono le ore 18.30) e magari poi deriderlo con qualche commento sarcastico (sottile vendetta sul maschio predatore).

2)    Altre volte la questione è più articolata: egli non ci prova più evitando di andare a letto con qualsiasi ragazza. Pare che le emozioni in gioco siano la disperazione (cioè una depressione che può assumere una connotazione autosvalutativa o a volte autocommiserativa), la paura (che può essere un’ansia dell’Io oppure un’ansia del disagio già descritto in un precedente articolo: “L’ANSIA”), nonché una condotta di evitamento (“mi conviene evitare invece di affrontare il rischio della figuraccia, così non soffrirò”). Anche se è precoce l’intervento, la prima intuizione utile psicoterapeutica sarebbe quella di far cambiare al paziente il comportamento di evitamento. Ma è troppo presto, egli non ha ancora assimilato le basi cognitive e strategiche del problema. Quindi si procede alla domanda: (T= terapeuta; Pz= paziente)
T= “Ma perché sei così disperato per questa cosa”?
Pz= “Sono un ragazzo finito, fallito, non sono un maschio come dovrei essere”; “ non mi merito nulla né di vivere, non doveva accadere proprio a me questa orribile sventura”.

Qui troviamo già due ideologie disfunzionali che portano alla depressione: quella autosvalutativa (io devo essere all’altezza altrimenti faccio schifo) e quella autocommiserativa (povero me, tutte a me succedono le disgrazie). Quindi sintetizzando nel classico costrutto ABC di Albert Ellis, dove
A= evento scatenante
B= i pensieri, le idee, le valutazioni sull’evento
C= le conseguenze emotive / comportamentali

Abbiamo:

A= c’è la mancata erezione con la ragazza
C= depressione
B= pensieri svalutativi e pretese rigide di funzionare “alla grande”

A prima vista il problema, così come spesso lo presentano i pazienti al terapeuta, sembrerebbe che nasca dalla mancata erezione. E allora sarebbe meglio indagare sul perché della mancata erezione.
Quindi si chiede:
T= “Come ti sentivi quando eri a letto con lei”?
Pz= “Tutto teso e preoccupato di non fare una bella figura”.
T= “Perché era così importante per te di fare bella figura”?
Pz= “perché si! Devo farla! Sono un vero maschio! Altrimenti lei mi considererà omosessuale e metterà in giro certe voci e tutti mi rideranno “dietro” (appunto!)”.

Qui i pensieri, cioè le più profonde cognizioni appartengono alla pretese di essere sempre all’altezza altrimenti è terribile e catastrofico.
Quindi il nuovo ABC sarà:

A= sto a letto con la ragazza;
C= mi viene (o meglio mi provoco l’ansia all’idea del fallimento) l’ansia e il mio Bobby non risponderà restando bloccato sempre alle ore 18.30;
B= devo essere all’altezza, devo far vedere chi sono io, non devo assolutamente fare cilecca! Quindi l’ABC primario è questo dell’ansia a cui seguirà l’ABC secondario (o sovraordinario) di depressione già visto prima. Ma è da prendere in considerazione il terzo elemento: l’evitamento.
E allora il terapeuta chiede al Pz: “Perché non ci riprovi ad andare a letto di nuovo con lei?”
Pz= “Oh NO! Ho troppa paura che mi ricapiti di non avere l’erezione”
T= “Quindi è meglio evitare il rischio”?
Pz= “mmmm…si!”
T= “Quindi non ci proverai mai più?”
Pz= “No… fino a quando non sarò guarito”
T= “ma come fai a guarire se non ci provi?”
Pz= (non risponde e pensa)

Si riassume allora un altro ABC consequenziale:
A= c’è il rischio che ricapiti il fallimento;
C= ANSIA / PAURA;
B= pensieri catastrofici che si ripresenti il fallimento che non vuole che avvenga.
Siamo arrivati al terzo livello della costruzione mentale del paziente, ma non è finita qui! Vale la pena di soffermarsi sull’evitamento che non è così automatico come erroneamente si crede. Esso non è un semplice comportamento Stimolo -> Risposta (cioè mi brucio la mano con il fuoco e quindi automaticamente la retraggo). Per decidere di astenersi dal piacere di andare a letto con la ragazza sembra che ci sia un ragionamento, una specie di calcolo edonico a breve termine che consiglia appunto: “Se qualcosa mi provoca ansia, allora mi conviene evitarla piuttosto che affrontarla”. Arriviamo quindi al quarto livello dell’ABC (4th ABC):
A= ANSIA
C= EVITAMENTO
B= DECIDO DI EVITARE convenientemente per non soffrire.
Fatta la diagnosi completa (qui l’esempio è semplice e schematico) si possono iniziare a fare le prime mosse strategiche che invitano il paziente di affrontare per primi i problemi di ordine superiore. Qui sarebbe utile agire sull’evitamento (“evita di evitare”), già preannunciato con la domanda: “ma come fai a guarire se non ci provi?”.
T= “Sei proprio convinto che ti convenga non provarci”?
“Guarda che al limite puoi utilizzare altre parti del corpo o strumenti… perché qui ci puoi fare tanto… così tanto che… stanno partendo i treni popolari dall’India per vedere come fai a farla godere… Eh… sai… c’è la partner da considerare…” (Utilizzo dell’ironia per spostare e depotenziare l’eccessiva preoccupazione “cefalotica”). Superato il problema dell’evitamento si passerà poi ad affrontare quello depressivo e infine quello iniziale della pretesa di essere sempre imbattibile, perfettamente virile e di dover fare a tutti i costi la bella figura (il classico pensiero maschile “ad caput merluzzi”). Questo è un metodo classico della psicoterapia cognitiva del fondatore A. Ellis (che è stato anche un famoso sessuologo). Come “sblocco” spesso mi avvalgo di un intervento strategico nel far mettere “alla prova” il paziente impaurito. Si tratta cioè di metterlo in una situazione artificiosa nella quale la tanto desiderata reazione fisiologica viene inibita dallo sforzo impiegato per provocarla.

Si prescrive:

“Da adesso in avanti, fino al prossimo incontro, ti chiedo di fare questo esperimento…Quando ti troverai con la tua ragazza per avere un rapporto sessuale, verifica tra te e te quanta paura hai in quel momento. Se la tua paura va oltre un certo limite di tollerabilità, ti chiedo di dichiarare a lei il tuo “perturbante segreto”, ovvero dovrai dire alla partner che a causa di un certo problema personale, non dipendente da lei, sei impotente e non potrai effettuare una penetrazione. Non lo dirai subito ma dopo che avrai messo in atto con lei tutte le tue abilità amatorie e preparatorie facendola eccitare al massimo… ecco, in quel momento, guardandola negli occhi, rivelerai il tuo segreto impenetrabile”. Se invece la tua paura di fallire non si spinge oltre un certo limite, ma è gestibile, allora procedi con il rapporto sessuale. In altre parole, potrai non dichiarare il tuo problema nel caso che l’ansia fosse controllabile, altrimenti lo dichiarerai…e vediamo cosa succederà”.


Il principio è quello dei prestigiatori di spostare l’attenzione. Comunque sia, nel dichiarare il segreto, il paziente non sarà più costretto a sforzarsi di nascondersi ed essere in tensione. Quindi potrà ormai andare tranquillamente avanti nell’esplorazione speleologica che nella maggioranza dei casi viene portata a termine (“Scacco Matto”). D’altra parte dichiararlo risulta piuttosto imbarazzante e magari questa paura sposta il problema dell’ansia del rapporto fallimentare all’atroce dichiarazione della propria impotenza. Quindi lo si pone con l’illusione di alternative: il paziente viene posto di fronte alla scelta tra due possibilità, nessuna delle quali è scevro di rischi dal suo punto di vista. Se sceglie di dichiarare il suo problema dovrà affrontare ragionevolmente la reazione della ragazza (e magari si scrolla di dosso un enorme peso dalla coscienza e potrebbe invece scoprirsi di essere un lontano parente di Rocco); ma potrebbe però dichiararlo solo se la sua paura ha oltrepassato il limite della sopportabilità…. E l’uomo è capace di sopportare tante cose… pur di non perdere la faccia. (RICKY)

“GAME OVER”