Aspetti Psicopatologici Odierni delle Demonopatie
Che alcuni spiriti (demoni ed angeli, diavoli e Dei) entrino nell’uomo e ne prendano possesso, è stata una rappresentazione di tutti i popoli e di tutti i tempi. Le malattie del corpo furono spiegate come l’opera di demoni e a maggior ragione quelle mentali e tra queste soprattutto quelle nelle quali l’uomo sembra trasformarsi in un’altra persona (la voce ed il comportamento, l’espressione del volto ed il contenuto dei suoi discorsi manifestano un’altra personalità) e nelle quali il cambiamento scompare altrettanto improvvisamente.
La presenza del male nel mondo è sempre stata e resta tutt’ora, un problema insolubile, quotidiano. Il pensiero occidentale, nel suo insopprimibile aspetto teologico e platonico, ha dovuto conciliare e in qualche modo comporre questa idea, del demonio appunto, con l’idea di un Dio creatore, onnipotente e buono. La speculazione filosofica, nelle varie epoche, è stata sempre obbligata a muoversi tra queste due polarità.
Nell’attività di clinico, sebbene marginalmente e occasionalmente, ci si è trovati ad osservare e confrontarsi in problemi psicopatologici riguardo la “dimensione demoniaca” che passano dalla condizione “nevrotica” a quella “psicotica”. Da queste premesse non possiamo fare a meno delle considerazioni del grande psicopatologo KARL JASPERS che definisce la possessione demoniaca come “lo stato in cui l’ammalato prova l’esperienza che egli è contemporaneamente due persone, e realizza due maniere di sentire completamente eterogenee come due IO diversi, dove l’esperienza dell’unità dell’IO subisce singolari modificazioni. (Sdoppiamento della personalità).
JASPERS distingue una forma a coscienza lucida (paranoica, delirante o meglio parafrenica cioè con la coesistenza del doppio mondo) e una forma ben più frequente e altrettanto patologica e severa in quelle con trasformazioni della coscienza (invasamento sonnambolico). La prima viene considerata tout court di matrice psicotica, schizofrenica, la seconda invece come isterica. Esistono poi delle forme intermedie ascrivibili all’ambito dei fenomeni ossessivi.
Tale impostazione di Jaspers, ancora oggi valida, viene integrato dalla distinzione psicologica tra io e me, inducendoci a considerare che la possessione demoniaca sia una condizione psicologica in cui viene particolarmente drammatizzato una certa parte del me: si tratterebbe di una identificazione pressante con un’altra personalità di natura “trascendente”, il cui rapporto con il soggetto non si basa sulla realtà bensì ad una elaborazione della fantasia con conseguente assimilazione dei caratteri Simboli ed esistenziali della “possessione”. Nell’ambito delirante delle diabolofanie Paranoidi c’è solo il dato, unico e incontestabile, del demonio, realtà presente ed invadente, dominatore inconstrastato del corpo e dell’anima, padrone e regolatore delle azioni e dei movimenti del posseduto.
Il teologo protestante VON HARNACK nel 1904 affermava: “La possessione sfida, non raramente ancora all’epoca nostra, un’analisi scientifica e fa pensare che esso metta in opera alcune forze misteriose. In questo campo vi sono fatti che non possono essere negati e che, tuttavia, non è possibile spiegare”.
Oggi invece si assiste al tentativo sistematico di ridurre il Male all’uomo, in una radicale negazione metaforica del problema. Il diavolo, se si vuole usare questo termine, è l’esistenza e la costituitività della forza del male, e come esiste questa forza esiste anche il diavolo: ma anche esso, come principe delle tenebre, è demiurgicamente generato dall’uomo (dotato di un imprinting malefico), il male personalmente originario.
Nelle forme nevrotiche, tuttavia, resta tutt’oggi fondamentale “l’esistenza delle credenze popolari circa la possessione, condivisa con altri membri della sua sottocultura. Esse mettono in grado la persona di raggiungere una soluzione del tutto irreale del suo problema interiorizzando o, meglio, internalizzando un agente possedente con caratteristiche appropriate alla soluzione del conflitto”. La demonopatia pura non avrebbe determinazioni nosografiche ma sarebbe un disturbo del sé cioè un disturbo del bilanciamento continuo fra l’IO e il ME, quindi un disturbo puramente sindromico.
Per quanto riguarda le sindromi psicotiche vere e proprie si potrebbe ritenere che in tali casi la sindrome di possessione sia il prodotto di tendenze inaccettabili, che vengono personificate come le figure del male, simbolicamente, essendo completamente dissociate e inconsce. Si comprende quindi bene il concetto di personificazione: il soggetto ascrive ad altre persone o al diavolo, paranoicamente, questi aspetti negativi e indesiderabili della propria persona. Questi aspetti, nella pratica clinica psichiatrica, assumono una visione psicopatologica ascrivibile all’ambito psicotico: maniaco – depressivo, deliranti – allucinatorie, acute e croniche e più raramente pre-demenziali.
Ma questo maligno (diabolos) intesto come angelo caduto, nasce dentro la “debolezza” umana non come Potenza autonoma, ma come “tentazione” insita nella volontà umana frutto del libero arbitrio dell’uomo, la cui scelta verso il male è difficile da scrutare. Ciò potrebbe costituire una nota preliminare per spiegare la genesi e la profonda motivazione dell’esorcismo (si ricordano le famose pagine di A. Huxley su “I diavoli di Loudun” e sugli esorcismi del Seicento e sui loro rischi psicologici).
E’ ormai luogo comune che oggi si osserva da più parti e culture del mondo, e forse di più rispetto alle cosidette culture subalterne, un risveglio di interesse sul “principe delle tenebre” e sulla magia.
Ma in realtà tale interesse non è mai tramontato, neppure nel secolo dei Lumi e nel periodo più acceso del positivismo, percorrendo a tutto spessore la storia delle culture e delle religioni, anche con richiami e segnali provenienti dalle Autorità in materia di fede.
Con la nascita della Psichiatria e della Psicoanalisi la demonologia viene lentamente disincarnandosi, si mentalizza e si antropologizza, ponendo ulteriori riflessioni sull’ambigua tentazione dell’uomo di appropriarsi del “mistero”, illudendosi di comprenderlo e risolverlo, ma finendo poi col divenire la vittima e la preda, faustianamente.
Più si nega l’autonomia del demoniaco, più ci si immerge nelle sue sabbie mobili fra uomo e Dio. Ma se volessimo concludere in altro modo, ci verrebbe da chiedersi: adesso che al diavolo crediamo sempre meno a chi lo addossiamo il male? A una distrazione di Dio? E il tal caso se non riusciamo a scusarlo, non rischiamo di perderlo?
Ma anche, considerando lo sfogo di un giovane paziente, colto e raffinato, affetto da ruminazioni ideiche metafisiche in fase depressiva, quando scrive: “Se Dio esiste, allora Egli è sadico”.
(Non mi resta che cercare di aiutarlo affinchè trovi le risposte e i limiti dentro di sé invece che fuori dal sé).