GLI PSICOFARMACI

(dalle pillole ai consigli del salumiere… siamo ormai arrivati alla frutta)

Mai una categoria di farmaci (per la psiche) è stata più ostentata, più temuta e più oggetto di pregiudizi e di opinionisti da “bancarella”, dove pure il salumiere o il fruttivendolo (senza alcuna offesa alle categorie) ne parlano, esprimendo i loro giudizi più o meno sfavorevoli.
Il medico psichiatra che s’incontra quotidianamente nella dolorosa realtà del disagio mentale, deve guardare criticamente le posizioni e le valutazioni della scienza, della ideologia imperante, della cultura del momento. Egli pur memore delle odierne contrapposizioni che incontra nel suo esercizio, non dovrebbe deviare dal suo scopo che è pur sempre quello di cogliere la realtà clinica ed umana del malato per lenire le sue sofferenze e restituirgli le sue potenzialità in equilibrio con se stesso, con il mondo interpersonale e con quello trascendentale.
Lo psichiatra moderno dovrebbe muoversi senza pregiudizi tra le varie modalità conoscitive, tenendo ben presente tutte le strategie terapeutiche di cui dispone, da quelle biologiche a quelle psico e socioterapeutiche, consapevole che l’accadimento psicopatologico non può essere mai interamente ristretto sul piano del biologico, né dello psicologico, né del sociale.
L’esperienza clinica ha ben dimostrato che le terapie biologiche rappresentano un mezzo di intervento importante nel trattamento di gran parte dei disturbi psichici. Ma anche un trattamento farmacologico è tuttavia anche un intervento psicoterapeutico iscrivendosi nelle dinamiche della relazione del malato con il suo terapeuta; è necessario pertanto che esso si affianchi ad un adeguato rapporto medico – paziente che costituisce, peraltro, il presupposto di qualsiasi intervento medico.
Ma perché oggi tutti questi pregiudizi sugli psicofarmaci e non verso gli antibiotici, i chemioterapici, la radioterapia, il cortisone, gli antiinfiammatori tanto pe fare un esempio? Forse perché essi sono associati all’idea della follia, forse perché si pensa in maniera distorta che essi possano arrivare a modificare le facoltà psichiche, annientandole o soggiogandole oppure forse (e qui è giusto) per l’uso smodato ed inadeguato di alcuni psichiatri non all’altezza del loro ruolo? O forse perché oggi dilaga una categoria professionale non medica che, non potendo farne uso, ne minimizza (nella migliore delle ipotesi) o mistifica i vantaggi, contrapponendoci solo i benefici della psicoterapia? Questa categoria professionale – va subito chiarito – non ha a che fare con i veri disturbi psichici e, quindi, evidenzia tutta la sua incompetenza, quando si esprime negativamente ed illecitamente verso l’uso degli psicofarmaci.
Gli psicofarmaci sono dei farmaci, come tutti gli altri: sebbene diversi, non si discostano dagli altri farmaci. Non è vero che inducono dipendenza, se sapientemente gestiti dagli psichiatri…quelli competenti. Senza il loro contributo molti disturbi psichici non sarebbero né trattabili, né curabili in alcuni casi.
Non è vero che essi si contrappongono alla psicoterapia (siamo psicoterapeuti e docenti di psicoterapia), ma si integrano con essa nelle mani competenti degli psichiatri.
Va ricordato infine ai teorici della “Psichiatria avanzata”, nonché agli operatori del settore “Salute Mentale”, che non possono usarli, due grandi ed importanti aspetti degli psicofarmaci:
1)    Senza di essi il Prof. Franco Basaglia non avrebbe mai potuto aprire le porte dei manicomi (legge 180 del 1978) e dar vita a quell’importante e florido movimento di psichiatria di inserimento e di riabilitazione sociale, fiore all’occhiello della Psichiatria italiana (son passati quasi trent’anni e la gente crede ancora che esistano i manicomi).
2)    Senza di essi, tutti quegli operatori che oggi lavorano solo con la terapia della parola, starebbero a descrivere “i tramonti”.
Quello che ci auguriamo è che si diffonda una cultura nuova, che abbatta i pregiudizi inutili e dannosi, che ridimensioni le opinioni degli incompetenti e che formi psichiatri moderni capaci di integrare per ogni caso psicofarmaci e psicoterapia idonea. Eh già, perché nessun psicofarmaco va dato senza un approccio psicoterapeutico; nessuna psicoterapia può disdegnare l’uso degli psicofarmaci (di sintesi ma anche quelli naturali).
Persino un semplice trattamento di un disturbo d’ansia può richiedere l’uso di un ansiolitico, per meglio governare il sintomo e per poter lavorare meglio sul versante psicoterapeutico. Questo afferma il valore e l’importanza di quella Psichiatria al servizio della salute psichica dei Cittadini.

Concludendo

Nei secoli l’arte del curare la psiche con farmaci si è spogliata delle componenti empirico – istintive e magico sacerdotali e, pur adeguandosi di volta in volta al concetto di malattia proprio di quella data epoca, si è consolidata ed arricchita delle acquisizioni scientifiche.
Dopo circa sessant’anni dall’inizio dell’era psicofarmacologica, l’armamentario terapeutico si avvale di rimedi che sono divenuti a volte irrinunciabili e spesso fondamentali in un progetto integrato con gli altri metodi di cura.
La psicofarmacologia ha modificato significativamente il decorso e la prognosi delle malattie determinando un progressivo spopolamento degli asili psichiatrici, nonostante l’incremento percentuale della patologia psichiatrica. Il destino di molti malati è mutato: non è più precluso un livello soddisfacente di integrazione della famiglia e nella società, il mantenimento dei legami affettivi e dei rapporti di lavoro.
Naturalmente gli psicofarmaci non hanno risolto i problemi terapeutici dei disturbi psichici; né mancano critiche.
Deve essere subito sottolineato che essi esplicano una azione essenzialmente sintomatica (così come avviene per altre terapie internistiche), per cui i meccanismi di base di molte malattie mentali non sono sostanzialmente modificati. Accanto all’azione terapeutica essi presentano effetti collaterali ed indesiderati: qui è importante che il medico sia saggio, attento alla salute del paziente, critico ed umile (fare supervisioni con il proprio referente più esperto) con il paziente e con se stesso.
E’ anche però innegabile che gli psicofarmaci consentono un miglior rapporto medico – paziente, rendendo possibile l’intervento psicoterapeutico in condizioni morbose anche gravi. Gli studi di psicofarmacologia, hanno aperto prospettive per la conoscenza delle basi biochimiche del comportamento ed hanno permesso di formulare nuove e suggestive ipotesi sulla eziopatogenesi dei disturbi mentali.
Ed infine: si stanno sostanzialmente modificando gli stereotipi concettuali delle malattie mentali (purtroppo, sebbene figli culturali di Franco Basaglia, siamo il fanalino di coda soprattutto in certe regioni italiane) e della sua ineluttabile evoluzione; si è prospettato, ed in gran parte realizzato, il superamento dell’ospedale psichiatrico e l’inserimento del malato psichico nelle strutture sanitarie residenziali / riabilitative.
Ogni rivoluzione culturale determina un cambiamento sociale, lento, ma progressivo…. Speriamo che non si ritorni indietro di secoli: non sempre lo sviluppo di metodologie e di tecniche moderne vanno di pari passo con la dimensione umana.
Speriamo che non si determini la “computerizzazione” della Psichiatria: sarebbe come interpretare Chopin senz’anima.

E infine:

E’ un’arte quella di saper integrare l’intervento farmacologico con quello psicoterapeutico, la scelta del farmaco giusto nel momento psicopatologico adeguato, saper gestire la posologia, senza mai perdere e far perdere la “visione d’insieme”. Ma per fare ciò bisogna conoscere la biologia, la psicopatologia, la clinica, la Psicologia, la farmacoterapia, la psicoterapia con i suoi vantaggi e svantaggi, dove si può andare o dove è meglio fermarsi o non andare oltre. L’incontro con il paziente è un momento particolare, fatto di sensibilità, intuito, conoscenza diretta ed empatica del paziente, un momento in cui si è soli con lui. Questa è l’arte professionale. Un’arte non si esprime mai attraverso il lavoro e la partecipazione di un gruppo, altrimenti questo senso artistico di comunicare, educare, supportare e curare verrebbe a decadere.

 

Prof. Gennaro Iorio                                                                                                                                                          Dr. Riccardo Pulzoni