UN… “COLLAGE DI FINE ESTATE”

 

GIUSTIZIA E MORALE

A. LA REGRESSIONE E L’INDIFFERENZA
105 A.C.: comincia nelle arene lo spettacolo dei gladiatori. La gente pagava per andare a vedere, divertendosi, i gladiatori che si uccidevano tra di loro.
ANNO 2017 D.C.: i giovani d’oggi, forniti del loro principale ed unico strumento di comunicazione (il cellulare), assistono imperterriti, filmandolo, allo spettacolo di una “bestia umana”, che a pugni e a calci percuote e poi uccide un giovane italiano (Nicolò Ciatti), dentro e poi fuori una discoteca spagnola.
Quanta analogia, quante commiserate riflessioni. Questa, che viene considerata l’era del progresso, è un regresso a 2000 anni indietro.
Quando pensi alla mancanza di qualsiasi tipo di valore, di ideale, all’anarchia ideologica che oggi regna sovrana, in ragione di una globalizzazione retta solo dal principio del potere economico, lo scenario futuro è, a dir poco, apocalittico. E se pensiamo che siamo noi soli eredi del ’68, insieme a quelli ancora viventi degli ultimi anni della guerra a sviluppare queste riflessioni, è ancora più triste, perché i giovani “perbene” di oggi sembrano incapaci di avviare qualsiasi azione di rinnovamento.
“DURA LEX, SED LEX”
Non è polemica, né posizione pregiudiziale, ma il fatto che dopo il pestaggio a morte di Niccolò Ciatti in Spagna, da parte di tre giovani Ceceni e dopo il loro fermo, un giudice decida di liberare due di loro già il giorno dopo, trattendendo solo quello, che dal video risulta aver sferrato il calcio mortale, fa ribollire il sangue nelle vene.
Ma come fa un magistrato a saper che quello è il calcio mortale? Di solito i medici legali si riservano di emettere referti solo dopo un accurato studio sul tavolo settorio. Come fa il magistrato ad escludere l’influenza sull’esito letale dei precedenti colpi?
Un magistrato non è “LA GIUSTIZIA”, le sue sentenze non esprimono il top di ciò che è giusto o di ciò che non lo è. Le sue conoscenze professionali gli consentono solo di esprimere, secondo regole già scritte, la pena relativa ad un determinato reato.
Ma la valutazione, l’interpretazione, il giudizio di colpevolezza appartengono all’essere umano, alla sua intelligenza, alla sua sensibilità, alle sue capacità analitiche. Nessuna laurea o nessun concorso determina questa capacità. Il magistrato applica la legge, ma nel momento in cui giudica è un essere umano qualunque, che può venirsi a trovare nel giusto, come nell’errore. Spesso assistiamo ad un “immobilismo” di fronte a persone che chiedono protezione dai loro persecutori (stalker), o come altre forme di denuncia inascoltate (i recenti casi delle minorenni in Puglia) esitano in tragedie. Quindi se egli è poco attento professionalmente o affetto da protagonismo narcisistico o da delirio di onniscienza, questi suoi difetti si rifletteranno inevitabilmente nei suoi giudizi. Andrebbe quindi rivalutato e nel tempo riverificato il suo ruolo, così delicato, in maniera professionalmente scientifica, sia nella personale stabilità sia sulle sue qualità professionali.
Viene in mente l’istituzione in magistratura, ma andrebbe bene anche in politica, di una specie di “Collegio dei Saggi”, autonomo ed indipendente, come quello istituito nel 1380 nell’antica Repubblica di Venezia, per arginare il potere del Doge e costituito da un insieme di professionisti esperti in vari settori, a seconda degli argomenti trattati, con un alto profilo di competenza. Utopia? Se non si propongono idee, anche apparentemente difficili da realizzare, nulla mai cambierà.
L’importante è non rinunciare mai al proprio spirito critico e non avere mai paura di esporsi. La verità non sposa mai la codardia.
Et infin….
“Se nelle indagini investigative su fatti di cronaca, il magistrato si avvalesse delle valutazioni espresse da esperti psichiatri clinici (spesso confusi col neurologo o con lo psicologo), si accorgerebbe della grande utilità di questo ulteriore supporto scientifico. Quello che fa difetto, a nostro parere, è la ricerca della “motivazione”. E questa la si può individuare solo attraverso la conoscenza personologica. In ogni gesto umano c’è un razionale, persino nella follia”.
B. LA SFIDUCIA
Chi ha ancora piena fiducia nei magistrati (o almeno in alcuni)? Bisognerebbe avere il coraggio di affermarlo! Sono esseri umani che sbagliano, come tutti gli altri, ma sarebbe più umano e giusto che anche questi non si arroccassero dietro la copertura della toga e del termine Giustizia.
Una cosa è il concetto di “Giustizia”, un’altra è quello relativo a chi la applica.
SI LEGGE: TORNA ALLA FAMIGLIA DI ORIGINE, AFFIDATA ALLA NONNA, LA BAMBINA INGLESE, CRISTIANA, AFFIDATA AD UNA FAMIGLIA MUSULMANA.
Alla bambina era stato tolto il crocefisso ed avrebbe dovuto imparare l’arabo, perché gli affidatari non parlavano l’inglese. C’è voluto l’intervento di un giudice donna musulmana, SAPNARA, per sovvertire la sentenza (incredibile). Nein…. Non si può far dipendere la giustizia solo dalle capacità del singolo magistrato. E’ come se si facesse dipendere la vita di una persona solo dal bravo medico.
Come si esige dai medici che tutti siano all’altezza di salvare una vita umana, si esige anche che tutti i magistrati siano all’altezza di amministrare la giustizia; altrimenti cambiassero mestiere o pagassero gli errori in prima persona.
Se sbaglia un medico (ma questo vale per qualsiasi altro professionista), viene subito denunciato, additato all’opinione pubblica e subito si parla di “mala sanità”; se sbaglia un magistrato, nessuno parla e nessuno discute di “mala giustizia”. Perché? Nella migliore delle ipotesi, perché prevale il concetto nobile e supremo di Giustizia. Nella maggior parte dei casi il motivo è… la paura dei magistrati… Uomini come noi, con pregi e difetti, che possono anche loro sbagliare in buona fede, spesso. Poi che dire: nove anni di penitenza ad un politico e sua moglie per poi ricevere l’assoluzione. E se fosse un cittadino non “abituato” a tale realtà? Le attese, la gogna, i timori, i malesseri, magari si ammala di ipertensione, di ischemia cardiaca, di depressione, di tumore (mi viene in mente Enzo Tortora).
Non si deve aver paura di affermare la “verità”. Certo occorre il coraggio, ci vogliono gli attributi… Ma se non li possiedi, devi startene solo zitto e subire le angherie di questo mondo. E quindi di che ti lamenti? Eppure non ci voleva una laurea in giuris-prudenza per capire l’errore commesso dalla magistratura inglese. “GOD SAVE THE QUEEN”.

Prof. Gennaro Iorio                                                                                                                                                       Dr. Riccardo Pulzoni