CON LE PAROLE SIAM TUTTI “FENOMENALI”

NEL GESTIRE IL PAZIENTE PSICHIATRICO IN FASE DI SCOMPENSO PSICOTICO ACUTO

Ah come gli opinionismi ideologici superficiali in Psichiatria, soprattutto quelli provenienti lontano dalla realtà clinica quotidiana, andrebbero espressi con più cautela e umiltà.
Quando si propaganda senza una reale conoscenza sul campo che “la contenzione fisica del malato psichiatrico” come una pratica abominevole e retrograda, ci viene da pensare quanta demagogia e moralismo vige in questi grandi pensatori: “Per favore insegnateci voi che cosa fareste di meglio se vi trovaste a tu per tu con tali dolorosi eventi drammatici”.
“Noi dopo 35 anni di lavoro sul campo forse non abbiam capito nulla”.
Conoscere veramente il disagio psichico nelle sue drammatiche espressioni sintomatologiche, esistenziali, familiari e sociali, dove a volte l’unico modo possibile (almeno finora) per poter somministrare una terapia farmacologica adeguata, è quello di poter “contenere” momentaneamente il paziente. Mi rendo conto che affermare ciò sia poco “popular” per chi vive la realtà nei salotti chic e moralisti, ma è in questo caso un mezzo funzionale e a beneficio del paziente (1). Ben altra economia è invece (e deprecabile) quella contenzione frutto o dell’incompetenza o del sadismo di quegli operatori che utilizzano la contenzione per evitare che il paziente “dia fastidio”. Senza un livello specifico di competenza, di esperienza, di umanità e di saggezza clinica, si finisce solo con il cercare il “plauso di spettatori incompetenti” creando sempre di più la confusione ideologica che vige nella gestione del malato psichico.
La Psichiatria clinica va discussa sul campo con coloro che vivono in funzione del benessere del paziente e non dietro le barriere cattedratiche o sale – conferenze o dossier televisivi.
Anche il chirurgo anestetizza il paziente, per operarlo, l’ortopedico fa del male fisico al paziente, per sistemare un arto lussato, il neurologo arreca una sofferenza fisica, mentre introduce l’ago di una “puntura lombare”; altrettanto fa l’ematologo quando esegue un “puntato sternale” ai fini diagnostico – terapeutico. In questi casi, nessuno pensa “al mezzo” per giungere ai fini utili per il paziente. Perché allora usare un altro parametro di valutazione nei riguardi di una terapia per rasserenare un paziente diventato pericoloso a se stesso o agli altri? Anni fa, il massivo esponente della “Psichiatria Democratica” venne in Clinica Psichiatrica dell’Università di Napoli per chiedere le “fascette di contenzione” al fine di poter gestire nel suo reparto un caso psichiatrico difficile e pericoloso. Nella loro logica e nel loro reparto non ne erano in possesso, poiché professavano una ideologia pregiudizievole e riduzionista che si è scontrata con la realtà clinica.
O. Wilde scriveva: “si possono commettere i peggiori crimini con le migliori intenzioni”. Il vecchio direttore della Clinica Psichiatrica Universitaria, il Prof. Dargut Kemali, negli incontri clinici con gli assistenti del reparto, alcuni di questi medici più giovani ed intrisi dell’ideologia dell’ANTIPSICHIATRIA, chiese a quest’ultimi: “Quando vi trovate di fronte ad un paziente con deliri floridi e allucinazioni con “voci imperative”, agitato ed eteroaggressivo con facilità di passare all’atto, inconsapevole del suo stato alterato psichico, che minaccia voi, gli infermieri, i degenti o i loro familiari…Voi che cosa fareste? Ma che cosa ci fate solo con le parole se lui vive una realtà (psicotica) diversa? Magari avessimo le parole passepartout … Ma purtroppo non è sempre così! E allora colleghi… datemi una risposta concreta… praticamente che cosa potete fare? Come potete tutelare lui e gli altri e quindi quale sarebbe la migliore soluzione in quel momento?” Ecco, un conto è la realtà clinica e un altro è quella che non si conosce e neppure si vive. Hanno mai intervistato le famiglie che vivono il dramma giornaliero con queste persone malate? Se invece si spingesse il dibattito verso un coinvolgimento politico e di sensibilizzazione sociale con adeguati investimenti economici per questa realtà, si arriverebbe ad una condotta preventiva invece che contenitiva come già Franco Basaglia ravvisava nella legge 180 del 1978 (2). La Contenzione è il fallimento non solo della medicina ma di una società insensibile e distante dalla comprensione dell’essere psichico.

G.I.                                                                                                                                                                                                            R.P.

NOTE:
(1) La Contenzione fisica assume connotazioni eccezionali ed è praticabile solo in situazioni di urgenza e/o emergenza, non diversamente affrontabili. Dal momento che la neutralizzazione di un comportamento auto e/o etero dirette a parte della protezione, anche se non della cura di un paziente che presenta disturbi mentali in atto, occorre tenere presente che essa:
- Deve essere correlata a precise situazioni di acuzie psicopatologiche;
- Deve accompagnarsi ad evidenti scompensi sul piano comportamentale;
- Non può essere sostituito da altre misure terapeutiche sul breve termine;
- Deve essere prescritto sempre e solo dal sanitario che se ne assume la responsabilità, in aggiunta o in sostituzione di quella farmacologica;
- Deve essere circoscritta nel tempo e strettamente monitorizzata;
- Deve essere subito sciolta non appena vengono meno le ragioni che l’hanno determinata;
- Deve essere accuratamente documentata su di un registro delle contenzioni e nelle cartelle cliniche del paziente;
Il fine sanitario di tali dolorosi e drastici provvedimenti deve essere deciso dallo psichiatra nel rispetto assoluto degli artt. 13 e 32 Cost. e delle norme del codice deontologico agli articoli 3,8,18,51,52. Come si suol dire: lex dura lex, volente o nolente va applicata… per legge e non per ideologia. Confidiamo nell’evoluzione culturale, nella tolleranza e del buon senso di tutti.

(2) La legge 180 del 1978 è una legge che ancora oggi è sotto inchiesta, oggetto di dibattito e che non ha ancora una sistemazione logica. Una legge che nei suoi principi ispiratori aveva e conserva tutt’oggi tutta la validità, in quanto ispirata al principio che il paziente è il prodotto di una interazione di fattori, dove non si possono trascurare quelli ambientali, sociali, relazionali, culturali perché la malattia si manifesta come frattura col sociale: la psicosi è una frattura con la realtà e con la conseguente difficoltà all’integrazione sociale.
I principi fondamentali della legge 180 sono: la prevenzione e la riabilitazione. Prevenzione, viene intesa a 360° come tipo di intervento non solo sul paziente ma sulla famiglia, sulle condizioni sociali, ambientali e quindi un tipo di prevenzione allargata e non soltanto nei riguardi dell’individuo singolo.
Ancora oggi vi è un dibattito acceso nei confronti della legge perché di fronte ai concetti di prevenzione e riabilitazione (Centri di salute mentale, day hospital, psicoterapia individuale e di gruppo, Comunità terapeutiche) molti ignoranti pensano che si potesse risolvere il problema della psichiatria. Ma una volta che il paziente è stato riabilitato ed esce da una comunità terapeutica egli ha sempre bisogno di una situazione sociale e familiare protetta. E qui che lo Stato e la coscienza civile della Società devono farsi carico di queste problematiche e non emarginarle.