GIOIRE:

“dopo la sofferenza significa esser bipolari?”

L’attuale nosografia psichiatrica ha fatto perdere quella identità e quella profondità storico – clinica costruitasi negli anni passati.
Mi riferisco a quei colleghi che includono ogni fluttuazione dell’umore nella categoria del “Disturbo Bipolare”. (1) Tutto questo viene sancito spesso da coloro che male conoscono le caratteristiche della depressione maggiore (un tempo definita “endogena” per la predominante connotazione biologica) o senza avere mai osservato e curato un autentico disturbo maniacale o quantomeno ipomaniacale (cioè la faccia opposta della depressione, anch’essa a forte connotazione biologica) o di altri tipi di depressioni quali: depressione reattiva, depressione nevrotica, depressioni sintomatiche, depressioni endoreattive, depressione involutiva, depressione esistenziale, depressione da sradicamento etc., o dei disturbi di personalità.
Oggi queste condizioni diagnosticate come bipolari 1-2 etc. sono spesso invece il risultato di un viraggio (cambiamento) conseguente all’assunzione di alcuni psicofarmaci o farmaci internistici (e sostanze stupefacenti) oppure può essere l’espressione di felicità in colui che è uscito dalle tenebre della depressione (e che spesso vengono etichettati bipolari ipomaniacali) o dai problemi esistenziali. Bisognerebbe sempre valutare le condizioni storiche di una persona e non basarsi solo sulla sintomatologia che rappresenta spesso solo la punta di un iceberg. Sarebbe opportuno riappropriarsi dello studio della Psicopatologia, che non è solo l’esame dei disturbi delle varie attività della mente (pensiero, senso-percezioni, memoria, attenzione, vigilanza, coscienza, affettività, volontà, comportamento, istintualità, intelligenza etc.) ma è anche la comprensione dell’intera modalità con cui si struttura l’evoluzione di un disturbo psichico clinico. Pensare di fare Psichiatria senza una riflessione sul metodo adoperato e senza chiedersi quali sono gli scopi e gli obiettivi da raggiungere, significherebbe percorrere un sentiero sconosciuto nel buio della notte. E quindi non basta dare una nuova nomenclatura clinica per fare cultura: “ quando mancano i contenuti, prevalgono le formalità”; oppure come diceva Stephen Hawking: “Il più grande nemico della conoscenza non è l’ignoranza, ma l’illusione della conoscenza”.
Bisognerebbe considerare cosa significa nel paziente la quiete dopo la tempesta. Se invece si considera ogni cambiamento della tonalità affettiva come “un disturbo bipolare”, allora tutta la vita umana si veste di tale diagnosi. Siamo allora così diventati tutti bipolari, il che equivale a dire: “il disturbo non esiste”.
La vita non è una linea isoelettrica costante, essa già normalmente è fatta di oscillazioni positive o negative su quella linea, quotidianamente.
Il vero problema non è quello di inventare nuove definizioni ma è invece quello di saper distinguere dove si trova il limite normale e dove comincia quello patologico (vedi un mio precedente articolo: “ATILAMRON(A)’L”). Ma questa è sensibilità umana e finezza clinica che non è patrimonio di tutti. Per questo allora che la Psichiatria è in grande crisi, per questo la Psichiatria si sta sottomettendo e snaturando a chi invece non ha “per definizione” competenza culturale e medica.

R.P.

 

NOTE:

1) Era meglio quando la diagnosi aveva una connotazione clinica ben definita (studiata fin dalla fine dell’800) con la terminologia di PSICOSI MANIACO – DEPRESSIVA. Oggi, invece, grazie ad una cultura del profitto delle case farmaceutiche il quadro clinico depressivo e ipo/maniacale (in parte determinato dall’utilizzo scriteriato dei farmaci antidepressivi) viene denominato con molta enfasi e ubiquitarietà con il termine di Disturbo Bipolare, sconvolgendo così il vero significato del termine. Sarebbe ora che la Psichiatria si riappropriasse della cultura e competenza che gli spetta invece di farsi sottomettere anche dalle interferenze degli farmacologi e degli incompetenti del settore.